La mia testimonianza del valore di Viloma Pranayama
Viloma Pranayama è la respirazione frazionata, quella in cui, si mettono delle pause, in inspirazione o in inspirazione o in tutte e due secondo le fasi (come le chiama il Maestro Iyengar) che si stanno praticando. Le fasi più avanzate di questa forma di Pranayama, la VII e la VIII, introducono anche i Kumbhaka, le ritenzioni.
Non voglio qui riportarvi la tecnica di esecuzione, per la quale rimando a “Teoria e pratica del Pranayama di B.K.S. YENGAR, ma raccontare la mia esperienza a riguardo. Per me Viloma Pranayama è sempre stato molto difficile, soprattutto la ritenzione a polmoni vuoti mi ha sempre messo in difficoltà.
La mia pratica di Pranayama, infatti, si è sempre basata su Ujjayi. Tuttavia ci sono stati due eventi nella mia vita che mi hanno avvicinato al Viloma e che mi hanno permesso di migliorarlo.
Durante la gravidanza sono stata costretta a letto da un distacco di placenta cui si è aggiunta, prima della conclusione del terzo trimestre che è quello più delicato, una forma violenta di ipertensione gravidica che mi ha portato ad avere fino a 180 di massima e ad un battito cardiaco del bambino intorno ai 190 battiti al minuto. Sia io sia il bambino abbiamo rischiato una trombosi e, immobilizzata a letto dal distacco di placenta (il medico era stato perentorio: “Ti puoi alzare solo per andare in bagno!”), l’unica cosa che potevo fare era il Pranayama.
In quel periodo ho “fatto amicizia” con il Viloma, soprattutto con la Fase 2.
Mi sedevo in Sukhasana con la schiena appoggiata alla spalliera del letto e facevo questo Pranayama. Ho scoperto che mi dava sollievo e soprattutto mi dava una sensazione di leggerezza alla testa che spesso era dolente nei picchi di rialzo della pressione.
Ho così evitato il ricovero, anche se il medico è convinto che il merito sia delle pasticche di Aldomet che mi aveva prescritto, ma lui non sa che delle 6 che mi aveva prescritto io ne prendevo in realtà solo 4 al giorno.
L’altro evento che mi ha reso meno ostico il Viloma Pranayama, proprio in queste due fasi che sono stata descritte sopra, è la recente polmonite che ho avuto.
Quando al pronto soccorso dell’Ospedale San Paolo di Civitavecchia qualche mese fa mi hanno diagnosticato la polmonite mi è stata data una cura “da cavallo” perché ho rifiutato il ricovero.
Tra punture di Rochefin, antibiotici via orale, gastroprotettori, cortisone e aerosol ho aggiunto in maniera massiccia la pratica di questo Viloma (di nuovo un po’ per necessità, un po’ perché la polmonite rende così deboli da non riuscire a tenersi in piedi).
Il medico del pronto soccorso mi aveva detto che poiché avevo rifiutato il ricovero dovevo essere ancora più attenta nella terapia e di tornare subito in ospedale se entro tre giorni le mie capacità respiratorie non fossero migliorate.
Ricevevo telefonate di conforto di amici e parenti che mi dicevano che la polmonite è una malattia dal decorso lungo, che la respirazione normale è lunga da riavere, che dovevo prendere le medicine.
In questo caso non ho fatto di testa mia, ho preso tutte le medicine che mi erano state prescritte, ho solo inserito molto Viloma nella mia pratica ed ho voluto consultare subito uno specialista, senza aspettare i 15 giorni che mi erano stati indicati al Pronto Soccorso.
Quindi a 5 giorni dalla corsa in Ospedale e dalla diagnosi mi sono sottoposta a visita presso uno stimato pneuomologo di Roma il quale prima ha guardato la radiografia del polmone e mi ha confermato che la polmonite c’era e che il polmone destro stava messo molto male, poi mi ha detto che voleva farmi una spirometria.
Mentre preparava il boccaglio e tutto il resto il dottore mi ha detto che per essere una che aveva quel polmone malandato avevo un bel colorito e una buona dose di energia, “si vede che il Rochefin sta facendo effetto”.
Durante l’esame mentre visualizzava i dati sul PC il dottore faceva facce strane e questo mi faceva preoccupare molto circa l’esito dell’esame.
Quando mi sono tolta il boccaglio il dottore mi ha detto che non credeva ai suoi occhi: il risultato della spirometria non poteva essere compatibile con la lastra al polmone fatta appena 5 giorni prima.
Ho cominciato, dunque, a parlargli dello Yoga Iyengar, del Pranayama e del Viloma e lui si è dimostrato molto interessato. Mi ha chiesto di inviargli qualcosa da leggere via mail e così ho fatto.
Tra l’altro vista la velocità di ripresa “con i suoi mezzi “(testuali parole) mi ha tolto le punture e mi ha lasciato solo la terapia orale.
Sono soddisfazioni.
There are 2 comments on this post
Ti ringrazio per queste tue “perle”, tra l’altro mettendoci a conoscenza di esperienze diciamo intime, questo rende l’idea della tua umiltà e dell’amore che metti nella disciplina che pratichi e che cerchi con pazienza di farci praticare.
Grazie ancora
Emilio
Ciao Adriana,
grazie per questo articolo così personale e onesto. L’ ho trovato molto incoraggiante. Anche a me il Pranayama risulta ostico perché ho una forte allergia al polline e quindi ormai per buona parte dell’anno il mio naso è chiuso 🙁 Ma piano piano sto trovando un mio modo di approcciarlo, anche grazie al teacher training che sto facendo.
Namaste, Barbara