In conversazione con Gabriella Giubilaro
Di seguito riporto una mia trascrizione/traduzione di un’intervista rilasciata da Gabriella Giubilaro a Rosa Santana, poco tempo dopo la morte di Guruji. Potete vedere il video originale al seguente link : https://www.youtube.com/watch?v=7ZWQpDzgNnU
Rosa: Credo che la cosa più bella ora che Iyengar non c’è più è che non ci sono molti insegnanti che hanno avuto una vera opportunità di lavorare con lui e tu sei una di quelli che hanno il privilegio di diffondere il suo lavoro.
E ora che lui non c’è più che cosa accadrà?
Gabriella: Al momento noi abbiamo ancora Geetaji e Prashantji, e anche Abhijata, che ancora insegnano, quindi loro sono quelli che continuano la tradizione e il lavoro.
Rosa: Ma anche tu continui il lavoro…
Gabriella: Sì, ma l’insegnamento prima di tutto viene da loro. L’insegnamento di Guruji è ancora vivo, è ancora con noi ed è vero che noi che abbiamo avuto l’opportunità di lavorare con lui abbiamo la responsabilità di continuare a diffondere il suo lavoro con la maggior integrità possibile. E questa è la cosa più difficile perché più ci si allontana da lui, più passa il tempo e più ci sono gli allievi degli allievi degli allievi e diventa difficile mantenere vivo l’originale insegnamento di Guruji.
Rosa: Hai notato un cambiamento da quando hai cominciato a studiare? Quanti anni avevi quando hai cominciato a studiare?
Gabriella: Quando ho cominciato a studiare Yoga avevo 22 anni,… La prima volta che ho incontrato Guruji avevo 32 anni.
Certo che ho visto dei cambiamenti, molti cambiamenti.
In questi anni Guruji ha continuamente cambiato e ricercato, ogni anno.
Era meravigliosa la capacità che aveva di esplorare, di sperimentare, di cercare, di studiare e questo è quello bisogna fare, bisogna studiare. Il suo insegnamento era sempre vivo, sempre fresco, sempre nuovo ma non nuovo perché era strano, era nuovo perché andava sempre più profondità. Per me è sempre stata una sorpresa, anche negli ultimi anni quando la sua pratica non era più quella di una volta a causa dell’età, la maniera in cui riusciva ancora a rinnovarsi, rinnovare il suo insegnamento. E a dirti la verità anche se a 95 anni la sua pratica non era ovviamente quella di quando aveva cinquant’anni, comunque riusciva a fare più di quanto riesca a fare io oggi.
Rosa: Una delle ultime volte in cui l’ho sentito parlare gli ho sentito dire che era come se avesse una sorta di piano segreto per riuscire a praticare fino all’ultimo grazie all’aiuto dei supporti. Quando tu hai cominciato, quando avevi 22- 23 anni, usava tutti questi supporti?
Gabriella: Io ho iniziato l’Iyengar Yoga sin dalla prima lezione. Quando ho cominciato non avevamo i tappetini, non avevamo le cinte, non avevamo i mattoni… niente…Solo il tappeto oppure solo il pavimento. Quando ho cominciato ad andare in India non avevamo i tappetini, facevamo yoga direttamente sul pavimento, usavamo solo quei tappetini un po’ più spessi per Sarvangasana e anche per gli allungamenti in avanti, ma non avevamo altri supporti. Credo che al massimo c’era qualche cinta e qualche mattone. Le prime volte ricordo che utilizzavo proprio i mattoni da costruzione o mi facevo dei supporti da sola: avevo le spalle molto rigide e mi facevo delle cinture ricavandole dal tessuto dei jeans che imbottivo un po’ perché era un po’ troppo duro per me. All’inizio mi facevo tutti i supporti da sola, anche i sacchetti di sabbia. Mi ricordo la prima volta che ho visto un insegnante di Yoga con un tappetino dalla Svizzera e tutti siamo rimasti a bocca aperta.
Rosa (ridendo): E quella era l’ultima tecnologia?
Gabriella: Sì, l’ultima tecnologia (ride). Non mi ricordo esattamente la data ma deve essere stato alla fine degli anni 80. Si trattava di quei tappetini verdi sottili che venivano dalla Germania e che inizialmente in realtà erano dei “sottotappeto”, servivano per non far scivolare il tappeto.
Rosa: Ho sentito una storia riguardo che Guruji stava facendo una dimostrazione sul tappeto e scivolava e siccome c’era uno di questi sotto tappeti per non far muovere il tappeto qualcuno suggerì di farlo utilizzare a Guruji per non farlo scivolare…
Gabriellla: Può essere. Io ricordo che la prima volta che ho visto questo tappetino da Yoga l’ho visto perché c’era un insegnante straniero che si trovava in Italia e che aveva questo tappetino.
Rosa: Quanto è diversa la pratica senza il tappetino?
Gabriella: Avevamo bisogno di un pavimento che non fosse scivoloso, facevamo sul pavimento, di marmo, di legno o sulle piastrelle.. Era difficile farlo sui tappeti effettivamente, anche se Guruji faceva tutte le sue dimostrazioni direttamente sul tappeto. Se ci pensi lui faceva Pincha Mayurasana senza mattone e senza cintura direttamente sul tappeto…
Rosa: Quindi poi ha creato tutti i tappeti per permettere a tutti di fare Yoga…
Gabriella: Si, però credo che ci sia un certo fraintendimento.
Guruji è famoso per due cose, l’allineamento e i supporti, ma io non credo che questa sia la sua parte migliore, almeno non nel senso che per lo più si pensa.
L’allineamento innanzitutto non è il fine ultimo della pratica. Allineamento è qualcosa che ci serve per poi poter fare un’azione. Non si pratica per essere allineati, ma senza allineamento non si riesce a raggiungere le varie parti del corpo.
E i supporti invece servono a volte solo per superare le limitazioni del corpo. Per aiutare le persone che non hanno la capacità fisica di fare una certa cosa, per poter avere i benefici della posizione.
I supporti sono qualcosa che permette di fare gli asana mantenendo i muscoli rilassati, quindi si permette di ottenere i benefici non solo sul piano fisico ma anche sul piano organico e mentale.
I supporti non sono qualcosa che serve per imporre o per rendere lo Yoga più duro, ma, al contrario, servono per rendere la pratica più facile per la maggior parte delle persone. Questo è quello che ha permesso a Guruji di continuare la sua pratica fino all’ultimo giorno.
Rosa: Mi è capitato di vederlo a 95 anni appeso alle corde. Ricordo che appena prima di salire ha guardato l’orologio, si trattava di qualche settimana – forse un mese – prima che morisse. Ho pensato “Sta guardando l’orologio per capire quanto tempo ci rimane!”. Io ero seduta in Upavista Konasana, quindi potevo vederlo bene. E’ rimasto appeso – a 95 anni – per 30 minuti! E il suo viso era come quello di un bambino che dorme, in Savasana, io non riesco a stare appesa in questo modo più di cinque minuti.
Gabriella: Ecco perché ti dico che la sua pratica era più forte e più bella della mia pratica!
Rosa: In questo weekend in cui abbiamo lavorato insieme ti ho visto utilizzare una parola che mi piace moltissimo per definire l’Iyengar Yoga: precisione.
Se sei preciso è chiaro che riesci anche ad essere allineato. E’ quello che mi riesci a trasmettere col tuo insegnamento.
Noi ci concentriamo molto sull’allineamento ma la maniera in cui tu spieghi le cose è proprio precisa e rende tutto più facile per me, forse non proprio al livello del corpo ma quantomeno a livello mentale.
Gabriella: Sì, ma precisione non vuol dire essere duri, rigidi. Prima di muoversi, prima di fare un’azione vuol dire riflettere, pensare, osservare veramente ciò che si sta facendo e muoversi e agire con consapevolezza. È da lì che viene la precisione.
Rosa: Mi ricordo i festeggiamenti per il suo 80º compleanno. Era la mia prima esperienza con Guruji, ma una cosa proprio al di fuori della mia portata perché non avrei dovuto esserci ma per intervento divino mi sono trovata lì. E mi ricordo che facevamo le posizioni in piedi tenendole tantissimo, mi ricordo che mi tremava tutto. Questo ha avuto un impatto molto forte su di me che mi ha portato a capire che non si trattava solo della posizione. Dimmi un po’ la tua esperienza a riguardo.
Gabriella: Il mio punto di vista è che la pratica e l’insegnamento di Guruji erano finalizzati a tirar fuori la miglior parte di noi. Spesso noi ci fermiamo di fronte ai nostri limiti, tiriamo fuori un sacco di scuse, “questo mi stanca troppo, questo è doloroso”. Non diamo mai il meglio di noi, non andiamo mai veramente in profondità, lavoriamo in diverse parti del corpo o solo sulle braccia o sul torace dimenticando le gambe e viceversa. La sua pratica e anche la bellezza del suo insegnamento era la sua capacità di farci lavorare su tutte le parti del corpo, di connettere tutte le varie parti del corpo, metterci in condizione di dare veramente il meglio che non era mai al di sopra delle nostre capacità. Si trattava di toccare ciò che era a noi sconosciuto ad un punto dove non ci si può arrivare da soli. Ricordo quando mi aiutava a fare alcuni asana… Mi ricordo che una volta mi sta aiutando a fare Marichyasana 3 ed ho sentito che stavo facendo il doppio rispetto a quello che in genere facevo da sola. Ed ho pensato: – Perché non ci riesco da sola? –
Ogni volta che pratico penso a quello che manca, perché non riesco a raggiungere quello che vorrei, cosa mi trattiene, perché non riesco a fare quello che riuscivo a fare quando mi trovavo di fronte a Guruji. La risposta è che quando lui ci aggiustava era un’esperienza completa, sentivi dal mignolo del piede alla sommità della testa, non mancava nessuna parte del corpo e anche la mente era integrata, la mente era lì.
Spesso i praticanti pensano che fare Yoga significhi flettersi di più, fare di più, e per fare ciò distorcono il corpo e le articolazioni, iperestendendo i muscoli.
Ma con lui non era questo il punto, non si trattava di allungare di più o flettersi di più, perché altrimenti si rischia di rovinare il corpo.
Il lavoro era – ed è – integrare ogni parte del corpo, senza trascurarne nessuna, sia che si stia fermi o in movimento, essere pienamente integrati con il corpo, la mente, l’intelletto.
Per me questo è l’insegnamento più importante che ho avuto da Guruji.
Rosa: Questo ti ha portato a tornare da lui ogni anno?
Gabriella: Questo mi ha portato e mi porterà a tornare ogni anno. Questo ha anche suscitato il mio interesse perché il suo lavoro non era mai noioso.
In tutti questi anni ho cercato di maturare nel mio insegnamento – è una cosa che faccio con consapevolezza – nel senso non di spiegare e basta, non voglio essere un’insegnante che sa parlare bene, ma che non è in grado di far sentire all’allievo quell’esperienza.
Certo, spiegare è importante ma io cerco di replicare quello che faceva Guruji, voglio far sentire all’allievo quello che sto spiegando e se non ci riesco mi arrabbio…
Rosa (ride): Tu hai detto che non hai pazienza…
Gabriella: Sì, l’ho detto…Però scherzavo…(ride). Quando non riesco in questo provo un senso di frustrazione. Non voglio che le mie spiegazioni rimangano solo a livello mentale, che magari riempiono la testa di cose ma poi?
Con le mani, con l’aiuto, con le parole voglio che tutti sentano cosa riescono a fare.
Rosa: Tu hai mai fatto un Teacher Training con Guruji?
Gabriella: No, mai.
Rosa: Come ti sei formata?
Gabriella: Io ho iniziato con Dona Holleman, quindi ho fatto il percorso di formazione con lei. Eravamo in quattro. Il lavoro era questo: lei ci diceva quale asana insegnare e ci dava un foglio in cui c’era scritto quello che bisognava dire. Erano 4 asana.
Alla mia prima lezione c’erano 4 allievi e lei era lì che osservava. Mi ricordo che ho insegnato solo 3 asana, me ne sono dimenticata uno, quindi quando sono andata a casa me ne sono accorta ed ho pensato che la mia carriera di insegnante fosse finita. Questa è stata la mia prima lezione.
Ricordo che non notavo niente, non facevo caso se l’allievo avesse la scoliosi o le spalle in avanti, o se gli allievi stavano storti… Niente.
Ora invece anche se le persone hanno indosso i vestiti mi accorgo se c’è una gamba più corta o noto come lavora il bacino …
Rosa: Sulla spiaggia allora….
Gabriella: Sì, mi diverto…
Rosa: Io mi devo tappare gli occhi, perché se vedo uno con le spalle storte…
Gabriella: Sì, mi viene da avvicinarmi e dire: – Stai dritto con le spalle… (ride).
Quindi, questa è stata la mia formazione, è stata molto incentrata sul piano pratico.
Non eravamo tanti insegnanti… A dire il vero non c’erano neanche tanti allievi, quindi era più facile che l’insegnamento fosse “one to one”. Comunque ho fatto anche assistenza a Dona Holleman per 16 anni, anche quando avevo già cominciato ad andare da Guruji.
Andavo a lezione tutti i giorni, che fosse estate o inverno, non c’era vacanza.
Rosa: Ma tu non avevi già un lavoro?
Gabriella: Io in realtà ho avuto una breve esperienza lavorativa di un anno all’Università, presso la Facoltà di Fisica. Ho sostituito per un anno un assistente e quindi aiutavo gli studenti nel laboratorio ad usare la bilancia, la lente, come fare le misurazioni.
Dopo ho dovuto scegliere cosa fare, se continuare questo lavoro o dedicarmi allo Yoga. Non è stato facile decidere perché all’epoca lo Yoga non era molto diffuso e in più io avevo 4 allievi in tutto, quindi scegliere lo Yoga significava fare un salto nel vuoto. Tuttavia ho scelto di seguire il mio cuore, perché sapevo che durante la lezione di Yoga ero felice, tanto quanto lo ero anni prima, quando studiavo matematica e fisica, per essere onesti, ma ad un certo punto ho deciso di cambiare direzione.
Ho detto a me stessa: “O provi ora oppure… FINITO (n.d.t. in italiano nella versione originale)!”. Non volevo fare “un po’ e un po’” , ero convinta che qualsiasi cosa tu scelga la devi fare bene.
Quindi ho scelto lo Yoga, anche se per circa 10 anni non riuscivo a sostenere tutte le mie spese con l’insegnamento.
Rosa: Lo so! Grazie per aver fatto questa scelta. Riuscire a studiare con te è davvero un dono. Quasi quasi mi trasferisco per 3 mesi in Italia per imparare da te…
Gabriella: Sfortunatamente quello che vedo oggi con i nuovi allievi, quelli che vogliono diventare insegnanti, è che appena cominciano ad insegnare, appena apprendono gli strumenti per cominciare ad insegnare si accontentano.… Quando si insegna si entra nell’abitudine e si pensa di sapere, si confonde la maturità con la capacità, perché magari si riesce ad insegnare, e magari piaci anche ai tuoi allievi che ti fanno un sacco di complimenti però quando diventano insegnanti non vengono più a fare assistenza, non vengono più a lezione, sono così impegnati con l’insegnamento che non hanno più tempo. Mi dicono: – Vorrei venire a lezione, ma non ho tempo – ed un peccato perché il livello rimane basso. E’ molto raro trovare insegnanti che continuano a studiare, ad andare a lezione. Ogni volta che io mi trovo di fronte ad un insegnante penso sempre che sia una grande opportunità o andare a lezione o fare assistenza, c’è sempre da imparare, anche se solo impariamo cosa non fare, comunque stiamo imparando. Mi è capitato di trovarmi in presenza di insegnanti che avevano meno esperienza di me eppure ho sentito che stavo imparando. E’ molto raro trovare insegnanti che capiscano che non bastano 20, 30 anni per diventare veramente un bravo insegnante, abbiamo bisogno di continuare a studiare, abbiamo bisogno di continuare ad andare a lezione, abbiamo bisogno di avere un insegnante che ci osservi, che ci corregga, che ci dia un feedback, non si può fare tutto ciò da soli, Guruji poteva farlo da solo, Geeta e Prashant possono farlo, noi no.
Rosa: Questo ha anche a che fare con Svadhyaya… Tu dicevi che andavi da Guruji ma avevi la tua pratica personale.
Gabriella: Io avevo la mia pratica personale, andavo ogni anno da Guruji, ma continuavo a studiare anche con altri insegnanti, sempre dello stesso stile, ho sempre fatto Iyengar Yoga sin dal primo giorno – e sono stata molto fortunata-; ho sempre avuto voglia di studiare, di imparare, ho sempre partecipato alle varie Conventions, magari litigavo con mio marito, la mia famiglia si lamentava, ma avevo questo obiettivo. Non si trattava solo del mio interesse, pensavo che fosse mio dovere, se sono un’insegnante è mio dovere imparare, per i miei allievi, anche se so che i miei allievi sarebbero comunque contenti, ma io voglio essere veramente in grado di poterli aiutare al massimo, di dare loro il massimo. Se sono un’insegnante ho il dovere di studiare, di praticare, di andare da altri insegnanti, di maturare, di migliorare e per questo devo imparare più che posso.